LA MACCHINA DEL TEMPO #126: NOVEMBRE 1982 SU ATARI VCS



Cari follower, bentornati alla Macchina Del Tempo per affrontare la panoramica sull’Atari VCS, o 2600 per i più giovani. Tra nuovi computer e nuove console, Atari aveva di che preoccuparsi al punto da immettere sul mercato il 5200, ma al VCS la folle corsa nei negozi interessava meno, dato che lui nelle case dei giocatori c’era già. Un vantaggio decisivo e una bella motivazione per gli sviluppatori che potevano lavorare sapendo di rivolgersi ad un pubblico ampio. In questi mesi, al cinema imperversava I Predatori dell’Arca Perduta, il primo film di Indiana Jones che non poteva non essere adattato in videogioco. La lesta Atari ne aveva acquisito i diritti e aveva affidato ad Howard Scott Warshaw la lavorazione del tie-in, a lui che si era fatto notare con il valido Yars’ Revenge. Warshaw, come suo malgrado dimostrerà anche con ET, aveva una certa vocazione per il gameplay convoluto e scarsamente intuitivo, qualcosa che nelle intenzioni il giocatore avrebbe dovuto capire col tempo. Raiders of the Lost Ark è molto ma davvero molto criptico e può essere descritto come un action adventure in cui serve immaginazione sia per risolvere i problemi sia per decifrare i disegni a video. Si usano persino due joystick, uno per controllare Indy, l’altro per gestire l’inventario, che può riempirsi fino a sei oggetti non tutti utili. Astruso, ma fortemente innovativo e in grado di anticipare elementi che saranno delle avventure grafiche. Purtroppo, assolutamente ostico da approcciare al giorno d’oggi. Nonostante il significativo impegno, la US Games è un’azienda durata solo circa un anno e che ha tentato di crearsi uno spazio nel mercato delle terze parti del VCS. I risultati sono stati scarsi anche qualitativamente e Name This Game è uno degli esperimenti di marketing più bizzarri. Lo strano titolo, infatti, celava un concorso mai tenutosi che avrebbe premiato il giocatore che avrebbe suggerito il nome più accattivante. In realtà, in una futura pubblicazione verrà rinominato Octopus ma senza relazioni col concorso. Il gameplay è quello di un blando fixed shooter in cui impersoniamo un sub che ha scovato un tesoro sottomarino che vuole proteggere costantemente. Dovrà quindi alimentarsi di ossigeno dalla canna che un suo amico ogni tanto gli manderà, facendo sempre attenzione ai tentacoli del grosso polpo al centro dello schermo ed ai squali che attraverseranno l’area di gioco. Nè divertente, né bello da vedere, ha fallito pure nella promessa del concorso. Lo avevamo già conosciuto su Intellivision e pubblicato dalla stessa Mattel, ma era pratica comune portare titoli inizialmente esclusivi per la propria macchina su altre console, magari azzoppati in qualche maniera per sembrare inferiori. Astrosmash però cambia anche titolo in Astroblast e, sorpresa delle sorprese, non è un gioco peggiore rispetto alla versione originale. Ovviamente, l’Intellivision ha una grafica più definita, ma il VCS è fluido e soprattutto sembra che chi ha curato la conversione abbia modificato qualcosa nella giocabilità che era veramente noiosissima nelle prime fasi della partita. Astroblast è sempre un fixed shooter con caduta di asteroidi, la cosa buffa è che non avremo nulla da difendere, potremo tranquillamente scansarci con l’unica penalità che ci verranno sottratti punti. L’azione è molto vivace sullo schermo, nonostante questo gioco non vada ad insidiare la gloria dei migliori esponenti della categoria. La CommaVid ha prodotto poche cartucce, ma riuscendo a mantenere una qualità interessante che l’hanno resa un third-party non certo famoso ma indubbiamente stimabile. Room of Doom viene considerato da molti un tesoro nascosto della libreria VCS. Compito del giocatore è quello di ammazzare dei fucilieri, o quel che sono al bordo dello schermo. Non sarà così semplice, dato che essi saranno aldilà del muro, il quale tuttavia aprirà piccole fessure ad intervalli irregolari, nei quali cercare di colpire con precisione. Per rendere il tutto più pepato c’è un mostro immortale nell’area di gioco, costantemente al nostro inseguimento che può essere colpito per alcune volte stordendolo, ma che dopo un po’ diventerà immune a tutto. Room of Doom è molto divertente e propone 64 variazioni di gioco, meritandosi di essere considerato una delle migliori varianti di Berzerk sulla console. I limiti hardware dell’Atari VCS cominciavano a pesare, soprattutto considerando la competizione sul mercato, così un’azienda chiamata Arcadia decise di produrre un’espansione chiamata Supercharger, che consisteva in una cartuccia con 6KB di RAM extra e un lettore di cassette. Vennero prodotti diversi giochi per la periferica ed uno di questi era Fireball, che si prefigge il compito di riprendere ed espandere la formula di Breakout. Questa volta siamo ai controlli di un giocoliere che deve gestire delle palle di fuoco come da titolo, le quali andranno adoperate per abbattere dei mattoncini in alto sullo schermo. Fireball si fa notare subito per la bella grafica, anche se la struttura di gioco non sfrutta molto le rinnovate capacità portate dal Supercharger. Tanti i colori su schermo e molto variegate le formazioni di mattoncini da distruggere. Interessante, poi, come il giocatore si troverà a gestire, nei livelli avanzati, fino a sei palle di fuoco contemporaneamente, con il risultato di un gameplay frenetico e stimolante. Una reinterpretazione intelligente e rispettosa di Breakout. Secondo titolo che incontriamo scritto per Supercharger è Killer Satellites, nome poco evocativo ma bisogna sapere che all’inizio degli anni Ottanta e in tempi di Guerra Fredda c’era anche un certo timore per tutti quei satelliti lanciati nello spazio. Il gioco, comunque, è un clone di Defender con qualche variazione. Il nucleo dell’esperienza è lo stesso e prevede la nostra navicella che può muoversi a destra e sinistra in un’area fino a farne il giro, troviamo un radar poco più sopra ma non indica l’altezza dei nemici, che sono sì satelliti, ma nei livelli più avanzati anche pericolose meteore da evitare e che possono cadere con una frequenza preoccupante. La Starpath, ex-Arcadia, che ha realizzato il gioco, però, voleva puntare molto sulla qualità tecnica e vantava la supremazia su Defender grazie ad una grafica priva di flickering, il che è vero, così com’è vero che manca anche tanto dettaglio rispetto al titolo Atari. Kller Satellites non è davvero niente di che tra gli horizontal shooter rivali. Il seguente gioco per Supercharger si pone un gradino sopra rispetto agli altri finora incontrati, non fosse altro per le ambizioni. Un tale Denis Caswell, ancora conosciuto ma che diventerà famoso per niente meno che impossible Mission, realizza Escape from the Mind Master, che davvero non poteva essere neanche pensabile su un VCS inespanso. La prima cosa che balza all’occhio è la tecnica: siamo di fronte ad un gioco di labirinto, ma inquadrato in prima persona e quindi con un’embrionale grafica 3D, seppur solo apparente. Le transizioni fluide lasciavano esterrefatti, eppure c’erano altre frecce al suo arco, come la struttura a due livelli disseminati da curiosi minigiochi da affrontare, con un notevole elemento di tensione dovuto ad un alieno che ci rincorre per tutta la partita. Quando lo vedremo sarà probabilmente già troppo tardi, ma potremo avere un’idea della sua distanza grazie ad un rumore nel gioco, che aumenta di frequenza in accordo con la vicinanza del nemico. Escape from the Mind Master era ed è impressionante, frutto di una mente proiettata nel futuro ma anche di una memoria disponibile per il gioco abbondantemente sopra il limite standard ed equivalente a circa tre normali cartucce. Denis Caswell è dietro anche al gioco che per un breve periodo era incluso nell’acquisto di un Supercharger: Phaser Patrol. Per quanto strano possa suonare, su VCS erano particolarmente apprezzati i giochi spaziali con inquadratura dall’interno della nostra astronave durante il compito di liberare settori del cosmo dai nemici. Star Raiders o Star Defender furono ottimi successi nonostante i limiti della console, così l’idea fu quella di mostrare al pubblico i muscoli del Supercharger proprio in un genere in cui l’hardware faceva da collo di bottiglia. E Phaser Patrol, in effetti, impressiona molto positivamente, offrendo una struttura di gioco senza novità significative, dove il giocatore sarà protagonista di furiosi dogfight, ma con grande fluidità e relativamente alto dettaglio. La maggiore RAM disponibile, inoltre, ha permesso di realizzare un pannello di stato dettagliato e in grado di stipare informazioni effettivamente utili. Doveva chiamarsi Excalibur, poi la sua denominazione è stata cambiata in Dragonstomper, ed è stato programmato da Stephen Landrum che avrà una rispettabile carriera nel mondo dei videogiochi. Ma più di tutto, Dragonstomper ha il merito di essere considerato come uno dei primi console-RPG. Il gioco di ruolo videoludico era già adulto, Wizardry lo aveva glorificato, ma su console restava una chimera. Anche qui viene in aiuto il Supercharger, che coi suoi caricamenti apre la strada verso una buona quantità di dati che hanno consentito a Landrum di immaginarsi una foresta ed altri scenari popolati da mostri da abbattere e quest da risolvere. Ovviamente, qui tutto è appena abbozzato: non esistono punti esperienza e il nostro personaggio può migliorare le proprie pochissime caratteristiche solo con pozioni a caso. Il nostro avatar è letteralmente un pixel e l’esplorabile è comunque limitato. Ma è stato un punto di partenza fondamentale, una pietra miliare che non ha mancato di intrattenere con grande soddisfazione molti giocatori del tempo. Di nuovo lui, Stephen Landrum, punta di diamante della creatività dell’azienda Arcadia, poi Starpath, che produceva il Supercharger, è dietro le quinte di Suicide Mission. Il titolo non lascia intendere nulla di ciò che davvero affronteremo nel gioco, ovvero una missione in stile Viaggio Allucinante, in cui una navicella viene miniaturizzata e inserita nel corpo di un uomo per curarne la malattia. Ne è venuto fuori un clone di Asteroids senza inerzia e senza teletrasporto, ma discretamente impressionante sotto il profilo tecnico, con cellule di sangue infette da distruggere che adottano un movimento fluido e animato in maniera suggestiva. I controlli sono quelli del classico dell’Atari e l’obiettivo di ogni livello è di distruggere tali cellule, ma il nostro mezzo viene descritto come particolarmente potente, difatti sarà in grado di sparare numerosi colpi in successione, aumentando il fattore di spettacolo ed adrenalina. Interessante come Landrum abbia optato per una grafica simil vettoriale che offre un effetto davvero insolito. Anche l’ultima proposta del mese per Supercharger è griffata Stephen Landrum, ma il genere è completamente diverso dato che Communist Mutants from Space si ispira fortissimamente a Galaxian. È giusto, tuttavia, porre un minimo di attenzione al titolo scelto, dato che fa leva sulla radicata paura del comunismo tra gli americani che lo identificavano nella minaccia sovietica della Guerra Fredda. E infatti gli alieni del gioco arrivano dal pianeta Rooskee e sono impazziti per le eccessive radiazioni di vodka. La splendida art della confezione cela un videogioco sicuramente meno d’impatto rispetto a quanto possibile per un Supercharger, ma comunque in grado di serbare ottimi elementi tecnici e ludici. Peculiari sono alcuni poteri speciali del nostro mezzo, infatti premendo la leva del joystick verso il basso attiveremo uno scudo in grado di garantirci indistruttibilità per alcuni attimi, premendo verso l’alto avremo invece l’opportunità di rallentare i nemici ma non il nostro mezzo. Come sempre, si tratta di piccole variazioni all’interno di una struttura nota, ma stavolta sono tutte molto riuscite. Atari pubblica Demons to Diamonds, uno shooter a schermata fissa che propone davvero qualcosa di diverso dalla solita solfa. Noi controlliamo una sorta di cannoncino di uno specifico colore e sullo schermo vi sono nemici di due colori diversi. Potremo segnare punti solo sparando quelli della nostra stessa tonalità, trasformandoli in diamanti, mentre se per errore colpiremo gli altri, si tramuteranno in teschi che spareranno alternativamente verso l’alto e verso il basso finché non avranno consumato tutte le nostre cinque vite. In singolo, Demons to Diamonds è abbastanza borioso, ma ha un sussulto in doppio, dove comparirà un altro cannoncino sullo schermo compatibile coi nemici dell’altro colore, aprendo la strada a nuove strategie come quelle di sparare volontariamente al nemico sbagliata magari per piazzare un teschio in sua prossimità. Grafica e sonoro abbastanza nello standard della console. Ancora sparatutto, ancora in salsa fixed shooter e davvero non si contano tali esemplari nella libreria VCS e del videogaming in generale. Si comincia a raschiare il fondo del barile, ma la Activision non casualmente si è imposta come la terza parte più prolifica della prima console Atari e tra le più grandi software house di sempre. Megamania, infatti, aggira grazie alla demenzialità il rischio di sembrare identico a tanti altri. Noi abbiamo sempre il controllo di un’astronave in basso sullo schermo costretta a muoversi solo sull’asse orizzontale. Essa potrà sparare di fronte a sé, ma lo sparo, in maniera davvero bizzarra seguirà il movimento della stessa nave, con la possibilità quindi di poter correggere traiettorie in corsa. Ma sono principalmente i nemici ad emergere in Megamania, dato che sono di ogni risma e rigorosamente non alieni. Se gli insetti sono ancora accettabili, cosa dire di hamburger volanti e ferri da stiro? Ogni orda attaccherà in maniera diversa, rendendo il gioco come uno dei più simpatici e vari fixed shooter sulla piattaforma. In una mensilità molto proficua per le terze parti si infila anche la Spectravideo con Planet Patrol. Il genere è quello degli sparatutto orizzontali, ma non con uno scenario ciclico alla Defender. Anzi, Planet Patrol è particolare in quanto è uno shmup con scrolling da destra verso sinistra e non il classico contrario. La grafica si presenta subito buona, con un bell’orizzonte e la nostra nave in più colori. Percorrendo lo scenario ci imbatteremo in orde di numerosi nemici da distruggere ed alcuni piccoli missili da evitare. La sceneggiatura ci racconta di come il nostro compito sia quello di proteggere il pianeta 24 ore su 24, il che vuol dire anche di notte e Planet Patrol implementa addirittura un ciclo giorno-notte che nelle ore buie ci impedirà di vedere i nemici se non sparandoli. E poi ci sono anche campi minati da evitare e basi da distruggere. Le idee non sono mancate e la tecnica nemmeno, peccato solo che il tutto non sia eccezionalmente divertente. L’ultimo gioco di questa bella escursione nella libreria Atari 2600 è di una terza parte ancora differente: la Apollo che ci porta Lost Luggage. Del resto, le vacanze di Natale, l’ansia di perdere i bagagli anche durante qualche passaggio in aereoporto e allora via con il gioco a tema. La Apollo ha immaginato un aereoporto dove il nastro che trasporta i bagagli è letteralmente impazzito, lanciando valigie a destra e a manca causando panico generale. E così lo staff dell’aereoporto prova a raccoglierle evitando danni e in base al livello di difficoltà potremo controllare una o due persone, aumentando le propabilità di agguantare le valigie, le quali non dovranno toccare il fondo dello schermo. La grafica è molto simpatica e prevede aerei in movimento in alto sullo schermo e una carinissima animazione quando manchiamo un bagaglio, con tutte le valigie che si apriranno mostrando contenuti imbarazzanti. In alcune modalità, c’è anche la valigia nera dei terroristi, che se non afferrata esploderà causando l’immediato game over. Simpatica l’idea e anche la realizzazione, ma diventa presto monotono.

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